I Balli Dei Lègar
Testi a cura di Italo Zandonella Callegher
A rot la Liòda
Il ballo di apertura delle esibizioni de I Légar è una polka allegra che racconta un episodio di un tempo passato, quando i mezzi di trasporto motorizzati non esistevano ancora.
I nostri avi usavano una grande slitta di legno, la liòda, per trasportare legna, fieno e altri materiali su neve o prati. Durante un trasporto invernale, una slitta si ruppe, rendendo vano il lavoro di un’intera giornata.
Invece di litigare, i protagonisti si riunirono nella stua e, per alleviare la tensione, ballarono una polka, dando vita alla ballata “a rot la liòda”.
Considerata l’allegria che questa musica infonde negli istanti, I Légar hanno deciso di utilizzarla come ballo di apertura delle loro esibizioni per dare subito alla manifestazione un tono di vivacità e di coinvolgente festosità.
Video del ballo “A rot la Liòda“
Vécia dal Matazìn
Per comprendere appieno il reale significato di questa danza è indispensabile capire che cos’è in realtà il Matazin e cosa essa rappresenti per la intera comunità.
Il Matazin è la maschera più importante del carnevale comeliano, considerato simbolo di gioia, fertilità e abbondanza. La sua vestizione è un vero e proprio rito, al quale partecipa solo una donna incaricata, mantenendo un’aura di mistero e creando un effetto sorpresa.
L’abito del Matazin è sontuoso, fatto di seta e decorato con foulards e nastri colorati. Porta in testa un lungo cilindro ornato di perle e specchietti, che lo rende facilmente riconoscibile. Dopo la vestizione, i Matazin iniziano a danzare per le strade del paese, accompagnati dalla musica di una piccola orchestra. Durante il percorso, fanno delle pause per eseguire un salto particolare, che sembra essere un augurio di benessere e fertilità.
La musica vivace richiama la gente verso la piazza principale, dove si tiene una grande danza collettiva, unendo maschere e persone in un clima di gioia condivisa. In questo momento, le preoccupazioni quotidiane e i conflitti sembrano scomparire, lasciando spazio a una festa di pace e serenità.
I Légar hanno creato un ballo ispirato alla maschera del Matazin, in cui i ballerini, disposti in due file parallele, danzano al ritmo di una polka. Quattro eseguono il salto del Matazin due volte, prima gli uomini e poi le donne. Il ballo continua con una serpentina che forma un cerchio, al cui interno i ballerini girano su sé stessi, terminando inginocchiati di fronte al pubblico.
Video del ballo “Vécia dal Matazìn“
La vécia dli drèzi
Questa polka, creata quasi interamente dal Gruppo I Légar, si distingue dagli altri balli del loro repertorio perché non si basa tanto sulla storia della comunità, quanto sul contesto geografico e amministrativo in cui il gruppo è nato.
Musicalmente, è stata utilizzata una polka già conosciuta nella zona, ma le è stato attribuito un nuovo significato simbolico: l’unione dei Comuni del comprensorio.
L’elemento centrale del ballo sono sei lunghe trecce di stoffa, tenute da sei coppie, che durante la danza inizialmente appaiono separate. A metà del brano, però, le trecce si uniscono simbolicamente, formando una figura che rappresenta l’auspicata unione delle diverse comunità in un tutto unico e ricco. Questo simbolismo si intreccia con gli elementi tradizionali della ballata comeliana: musica, passi, saltelli e momenti coreografici tipici.
Video del ballo “La vécia dli drèzi“
La vécia dli stói
La vécia dli stoi (la vecchia delle scope) è una polka spiritosa che riprende in modo scherzoso una scena comune nelle serate danzanti.
Gli uomini, dopo aver portato le loro donne al ballo, spesso si allontanavano per giocare a morra con gli amici, lasciando le compagne indispettite. Le donne, armate di scope, intervenivano per punirli.
Il Gruppo I Légar rappresenta questa situazione in modo realistico, utilizzando vere scope nella danza. Questa polka non solo diverte il pubblico, ma anche i ballerini, specialmente le ballerine che si calano con entusiasmo nel ruolo di castigatrici dei loro partner distratti.
La vécia dal tàiu
Questo ballo è stato ripreso e inventato dal Gruppo osservando le varie feste paesane. Si può definire uno studio sulla gente che vi partecipa normalmente, sulle coppie che le frequentano, sui giovani che bazzicano fra le sagre a caccia di ragazze o di sposine che ballano fra loro e vanno separate.
In Comelico, ma non solo, gli uomini una volta giunti alla festa si fermano spesso a bere qualcosa e a parlare con gli amici.
Le donne, più o meno pazientemente, aspettano i loro compagni che però non arrivano. Hanno voglia di ballare, di muoversi un po’, di scaricarsi della noia, di alleggerire la stanchezza accumulata durante la settimana appena trascorsa nei prati a tirar il rastrello o nei boschi a far legna. Un’occhiata ai mariti fa capire che non resta altro da fare se non ballare fra donne. E il gentil sesso si organizza, forma le coppie in gonnella e inizia a danzare.
E qui viene il bello: alcuni giovanotti, approfittano degli impegni vinicoli dei legittimi mariti o compagni, si intrufolano fra le coppie di donne e al grido di tàiu (cioè taglio, separazione), con ciò dividendo le coppie e continuando il ballo ognuno con una sua donna, finalmente e provvisoriamente conquistata.
La vécia di fonghi
Si chiama vécia di fonghi proprio perché ripropone una delle “occupazioni” di più largo uso fra la popolazione comeliana e cadorina, cioè la raccolta dei funghi in queste vallate alpine.
Le coreografie di questo ballo evidenziano, in particolare, proprio il momento magico della raccolta. Lo mimano i ballerini che poi offrono i funghi alle ballerine.
È così che si danno inizio alle danze. Subito formando una specie di serpentina dove tutti possono valutare il raccolto.
Poi i danzatori proseguono nella polka fino al culmine della ballata quando tutti si inginocchiano.
La vécia dal fazlètu
Un tempo i giochi dei bambini erano molto semplici e si svolgevano principalmente all’aria aperta. I luoghi di ritrovo erano la piazza, il sagrato della chiesa e all’uscita della scuola. Era questa l’occasione dove i ragazzini avevano la possibilità di rimanere insieme giocando a “tana, fura, siézar, fazlétu…” (nascondino, scossa, biglie, fazzoletto…).
Il Gruppo ha ripreso il gioco del fazzoletto adottandolo ad una polka molto divertente. Inizialmente le donne rubano il fazzoletto e con alcuni giri di polka si separano dagli uomini formando una linea e sventolando il mal tolto invitano di nuovo il ballerino a danzare. L’invito è ben accetto se pur nella consapevolezza del dover riscattarsi dall’inganno subito. Quando sembra che il gioco volga al termine gli uomini con un gesto repentino si riappropriano del proprio fazzoletto lasciando le donne a bocca aperta.
Valzer di mestieri
Questo ballo rappresenta alcuni mestieri che hanno caratterizzato la vita dei nostri contadini.
Uno dei più importanti è stato sicuramente lo sfalcio dei prati poiché quasi ogni famiglia possedeva degli animali in casa. Dallo sfalcio è stata tratta la caratteristica più bella: dopo aver usato la falce c’è bisogno di affilarla. Il contadino prende lo sgabello e l’attrezzo da noi chiamato batadèiri (un insieme di martello e piccola incudine) ed incomincia il ritmico battere del martello sulla falce cadenzato dal lento muoversi della lama sull’incudine.
Il duro lavoro viene interrotto dall’arrivo delle donne che con un invito a ballare portano un po’ d’allegria.
Bal dli Scarpeti
Questo ballo, introdotto recentemente nello spettacolo, valorizza due elementi distintivi del Comelico e della sua cultura: gli “tarali” e gli “scarpeti”.
Gli “tarali” sono zoccoli di legno, simili a quelli olandesi, realizzati artigianalmente e un tempo utilizzati come calzature quotidiane, sia per la vita di tutti i giorni che per i lavori in stalla. Gli “scarpeti”, invece, sono le tipiche scarpine alla cadorina in stoffa caratterizzate da una tomaia in velluto nero e una suola senza tacco, ottenuta cucendo insieme diversi strati di tessuto trapuntato. Anche queste erano fatte in casa e rappresentavano le calzature tradizionali delle genti del Comelico, alcune delle quali vengono ancora indossate oggi.
Per celebrare e valorizzare queste tradizioni, il Gruppo ha ideato una coreografia che integra questi elementi. Il ballo, molto scenografico, si sviluppa intorno all’impossibilità di danzare con gli “tarali”: le ballerine, quindi, si mettono all’opera per confezionare gli “scarpeti”, permettendo così di proseguire la danza con il proprio partner.